S’è n’è andato anche Lui, Ivano Piazzi, per tutti noi “Lupo”.
Partigiano, infaticabile testimone della Resistenza e dell’Antifascismo, l’ultimo della 17° Brigata Garibaldi e uno degli ultimi della 42° Brigata d’Assalto “Walter Fontan”. Con la scomparsa di Lupo viene a mancare un amico e Compagno dal quale i giovani potevano cogliere in prima persona lo spirito dei nostri Partigiani, Lui Cremonese, ma residente a Genova e Valsusino d’adozione e per merito, non mancava mai all'anniversario di Balmafol come a quello del Colle del Lys, luoghi nei quali ha combattuto e vissuto nel giusto della Resistenza.
Novantenne all'anagrafe ma ventenne nel cuore e nell'animo continuava a stupirci ogni volta che lo vedevamo arrivare, da solo, in auto da Genova o da chissà dove. In mano il tablet o lo smartphone di ultima generazione con il quale, diceva lui, teneva contatti con i giovani e con le sezioni A.N.P.I. di ogni dove ed un immancabile sorriso a riempirgli il viso. Senza Lupo saremo, d’ora in poi, ancora più poveri, non tanto per gli insegnamenti del Lupo, poiché quelli rimarranno indelebili, quanto perché non troveremo più, durante le nostre iniziative, la sua forza e la sua freschezza, a tratti disarmante, un vigore che spesso neppure i ventenni posseggono.
Ma chi era Ivano Piazzi, nome di battaglia “Lupo”?
Lo possiamo capire meglio nello stralcio di questo racconto “il colle del lupo” - Storia di un ragazzo che scelse di resistere di Marco Rovelli
…Ivano decide di partire. Sa che andrà con i «partigiani», che sono antifascisti e antitedeschi. Sa che gli daranno da mangiare e da vestire. Pensa che gli daranno da mangiare e da vestire affinché non collabori con tedeschi e fascisti. Ancora, però, non s’immagina che dovrà prendere le armi. Parte tranquillo: ha il foglio su cui c’è scritto che deve presentarsi il 12, se lo fermano può dire che sta andando a fare una gita a Torino prima di partire per la Germania, del resto è pure senza bagagli. Le istruzioni sono queste: al mattino alle sei in stazione a Cremona, fai il biglietto per Torino, dovrai cambiare a Milano. Quando arrivi a Torino Porta Nuova, vedrai nell’atrio uno con «La Stampa» in tasca. Sarete una ventina, non dite nulla, fate gruppetti di quattro, a distanza tra di voi, e seguitelo.
In treno Ivano trova diversi giovani, allegri. Vado a trovare la morosa in risaia a Santhià, dicono in un paio. Ivano capisce che quelli saranno suoi compagni. A Torino Porta Nuova c’è l’uomo con «La Stampa» in tasca. Ivano scoprirà poi che si chiama Paolo Ghilardotti, il quale riuscirà a mettere insieme centotrenta giovani cremonesi portandoli in Val Susa. Da Porta Nuova, dunque, si prende il tram fino a Porta Susa, e di lì di nuovo il treno: si scende a Condove. Da lì a piedi, si sale in montagna, sopra Avigliana. Le scarpe di qualcuno si rompono, sono scarpe da città. Dopo qualche ora di cammino si arriva in una baita, un pugno di riso in una vecchia scatola con un cucchiaio di legno ricavato dalla scorza delle piante, si dorme stesi su un letto di strame e foglie secche.
Alla mattina, prendono le generalità: nomi e città – ma non la via – e poi: «sceglietevi il nome di battaglia». Ivano sceglie Lupo: a casa ha due cani lupo che ama, e poi è un nome adeguato a quei posti.
Quella è la 17a brigata Garibaldi, appena sotto il Col del Lys. Al mattino ci si alza, ti danno latte e orzo, e castagne secche. I primi giorni bisogna aspettare. Commissario politico della 17a è Kiro, un cremonese che Lupo già conosce. Lui comincia a fare formazione politica, e arrivano anche dei delegati del Partito comunista a tenere una lezione. Lupo ha capito che non sarà sufficiente aspettare che la guerra finisca, ma che lì ci si dovrà anche difendere. Sebbene per adesso armi non gliene diano, e lì di armi ce ne sono pochine, ancora. Lupo ne approfitta per perlustrare le montagne, capire la direzione dei vari sentieri, nel caso arrivino i fascisti dal basso. Una conoscenza dei luoghi che gli sarebbe potuta tornare utile il 2 luglio, quando arriverà il rastrellamento a opera di un migliaio di tedeschi e di fascisti: molti partigiani riusciranno a sfuggire nascondendosi nei boschi, negli anfratti della montagna, nella nebbia; ma ventitré di loro saranno catturati, torturati e uccisi. Ma per fortuna del Lupo, dopo due settimane di permanenza alla 17a lui è già stato mandato nella 42a, a Chianocco, sopra Bussoleno.
Lì arriva in un distaccamento dove sono quasi tutti militari meridionali, che non potevano tornare a casa. Si erano portati su le armi, e una mitraglietta Fiat la danno anche a Lupo, che qui fa conoscenza con i pidocchi, fedeli compagni di guerra. E così si scende per le azioni, principalmente indirizzate a sabotare la linea Torino-Modane. Far saltare le traversine del treno. Oppure fermare i convogli, e bloccare la linea, dove capita anche di far prigioniero il tedesco a fianco del macchinista, che si arrende senza provare a opporsi visto il numero dei ribelli... Ma poi, come sempre, c’è il problema dei viveri, e allora bisogna scendere a procurarsene, magari requisendo il maiale di un fascista, che proprio in quel frangente ti trovi in mezzo a un rastrellamento, e allora devi scappare sparando, e mollare il maiale...
L’8 luglio arriva il rastrellamento anche per la 42a. Proprio mentre è in corso una tregua per uno scambio di prigionieri, i fascisti salgono da un vallone spoglio, dove non ci sono baite, per provare a prendere di sorpresa i ribelli. Il distaccamento di Lupo è un avamposto all’alpeggio di Balmafol, ha il compito di difendere il comando che sta più in alto. I fascisti sono a poche decine di metri, sparano nascosti da dietro gli alberi e le rocce, ma le munizioni dei ribelli sono poche, non dureranno a lungo per uno scontro di posizione. Di certo non bastano a difendersi. Allora il figlio del malgaro ha un’idea: prepariamo dei macigni e quando vengono su li facciamo rotolare e glieli buttiamo addosso... «Cômandant, l’hai nen d’armi... Campô n’ roch?», così si narra abbia detto (Comandante, non ho armi... Che faccio? Tiro giù un masso?). E allora, tutto il distaccamento comincia furiosamente a raccogliere tutte le pietre d’intorno, le impila, le dispone in file. E così i macigni vengono mollati, rotolano come una valanga, una scarica micidiale, saranno una ventina i fascisti che restano sul terreno, e gli altri sono costretti a schizzare via per non esserne travolti, mollando pure le armi che verranno recuperate dai ribelli.
Dopo il Balmafol Lupo viene aggregato al distaccamento del comando. È giovane, robusto, veloce, è perfetto come portaordini. Alla 17a, dove poi tornerà, dovendosi fare anche quaranta chilometri di pianura, il comandante della brigata, Deo, gli fa lasciar giù il moschetto e gli dà il suo mitra. Dopo sei mesi con la 42a, Lupo torna alla 17a, dai suoi concittadini cremonesi, da Kiro, dal comandante Deo e dal vicecomandante Pucci. Quest’ultimo si chiamava Sergio Rapuzzi, ed era stato a scuola con Ivano. Studiava da tenore, e cantava le operette al teatro Ponchielli. Bello quando adesso, attorno al fuoco, nell’alpeggio sopra i due laghi di Avigliana, canta, dietro le insistenze dei compagni, Che gelida manina... Quasi, in quei momenti, ci si dimentica di essere in guerra, e di avere la morte intorno. Poi, certo, Lupo impara altri canti. Come l’Inno dei lavoratori di Turati: «Su fratelli su compagni». O il bel canto operaio piemontese, «Guarda là su la pianüra / lj ciminè fan pa pì füm / e ij padron da la pàüra / as fan guernè da cuj dj ’alüm» (dove quelli del lume da cui i padroni della paura si fanno proteggere sono i carabinieri). Sulle montagne della Val Susa si può cantare in coro tranquillamente: da quelle altezze giù al piano non possono sentire.
A pochi giorni dalla Liberazione, il 29 marzo, la voce di Pucci non si sentirà più. Sarà ucciso durante un rastrellamento, sorpreso in una baita a Prà del Colle, insieme al comandante Deo. Spareranno fino all’ultimo con le loro automatiche, ma là fuori erano un migliaio. Dopo la loro morte si scende in pianura, a San Giglio Torinese. Una squadra di una trentina di persone, ogni notte un’azione contro i tedeschi: anche in città, col parabellum nascosto sotto il cappotto. Il 27, la Liberazione.
«Qual è stata la cosa che mi ha lasciato nella vita fare il partigiano? Ti dico cosa diceva uno di noi: siamo saliti in montagna ignoranti e siam scesi laureati. Ho visto quei poveri montanari grattare i sassi per coltivare, ho visto la fame che facevano... Ho provato la fame, tutto il giorno sotto mitragliate, in mezzo alla neve, scappare, restare bagnati fradici tutto il giorno, l’inverno con la tormenta, dormire al freddo senza poter accendere il fuoco. E quando passi queste cose, capisci anche chi dorme sotto i ponti... Vedi tutto: vedi cosa vuol dire la vita».
Ci mancherai Lupo, ma sappiamo che l’8 di luglio sarai sempre con il tuo foulard rosso della 42° al nostro fianco a Balmafol!
…Buon viaggio Partigia!!!